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Caffè della gioventù perduta

“Nel mezzo del cammin della vera vita, eravamo circondati da una malinconia oscura, che tante parole tristi e beffarde hanno espresso, nel caffè della gioventù perduta” (Guy Debord)

Citazione tratta dall’omonimo libro del Nobel per la letteratura Modiano.

Il caffè della gioventù perduta parla d’altro in realtà: di un bar e di tante persone che l’hanno frequentato. Di una figura che aveva l’obiettivo di annotare tutti i nomi di coloro i quali passavano a “Le Condè” a caccia di punti fermi a Parigi. L’attenzione si sposta poi su Louki una donna misteriosa descritta dagli occhi di 4 persone secondo 4 diversi punti di vista.

Perché questa premessa?

Perché oggi spesso ci sentiamo persi nell’assenza di riferimenti solidi. Questo genera un senso di vuoto e confusione su quanto proviamo e rispetto all’altro.

Citando Recalcati, banalizzando, non esiste “Io” senza “Altro”.
Infatti se ti chiedo di parlarmi di te tu mi parlerai d’altro (famiglia, amici, lavoro).

Siamo il continuo compromesso tra noi e l’altro.
Ma a volta qualcosa si blocca.
Vengono meno i punti fermi ed i riferimenti.
Lo sguardo anziché generare speranza e movimento prospettico si volge all’indietro e si tocca con mano la malinconia.

Tale malinconia è essa stessa la vita.
La vita è amore e perdita.
Nel caffè della gioventù perduta annotiamo i nomi dei passanti (De Andrè), di chi ci ha fatto compagnia solo per un istante e oggi non c’è più perché semplicemente ha preso un sentiero diverso dal nostro.

Questo apre alla dimensione del dolore ma è essenziale imparare a conviverci e passeggiarci a braccetto.

Perché la gioventù perduta può essere una maturità ritrovata: “ l’avere ancora da essere”.

Ansia: quando è generalizzata, buona o cattiva?

L’ansia è un’emozione caratterizzata da sentimenti di minaccia, tensione, preoccupazione e allerta che ha anche dei correlati fisiologici come l’aumento della pressione sanguigna e quindi del battito cardiaco.


L’organismo assume uno stato di maggior controllo e vigilanza dell’ambiente circostante ed infatti, biologicamente, quello che accade ha una funzione adattiva e cioè l’emozione nucleare paura vuole portare l’organismo che la vive ad un riposizionamento più o meno rapido di fronte ad uno stimolo apparentemente pericoloso.


Ad esempio se tu ti trovassi di fronte ad una tigre minacciosa la paura e l’ansia vissute ti porterebbero a riposizionarti e quindi a reagire: con la fuga o rispondendo all’attacco (ecco forse con una tigre di fronte eviterei di combattere e me la darei a gambe).


La situazione oggi è molto cambiata dalla vita selvaggia di una volta. Ecco che l’ansia di fronte al pericolo si vivrà in aree diverse della vita: a livello affettivo, lavorativo, per un esame etc.
Un certo grado di ansia è utile per affrontare le situazioni nel modo più vigile e funzionale possibile. E’ quando questa diventa eccessiva che può trasformarsi da adattiva a disfunzionale.


In questi casi si potrà vivere una difficoltà nel ritmo del sonno, una marcata sensazione di irritabilità e nervosismo, un senso generalizzato di affaticamento e tensione fino a sperimentare veri e propri sintomi fisici come cefalee e dolori.


In questi casi parlarne con un professionista potrebbe darti una mano nella gestione dell’ansia.
Hai mai vissuto una situazione di intensa ansia?

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La paura del giudizio

A chi non è capitato almeno una volta nella vita di temere il giudizio di un’altra persona, sia essa un genitore, un amico, un partner, un collega o qualcun altro?

La pressione del giudizio degli altri può arrivare ad essere davvero intensa e farci sentire schiacciati e in gabbia quasi come fossimo incapaci di reagire.

Se ci pensiamo un attimo, la nostra Società, fin da quando ognuno di noi era bambino ci ha educato ed abituato ad essere valutati con l’obiettivo di raggiungere un grado di sufficienza sia specifico (ad esempio in una disciplina scolastica) sia generalizzato (in termini di adeguatezza o inadeguatezza).

Ma possiamo dare la colpa unicamente al sistema educativo? Certo che no, infatti oltre a quel tipo di dinamiche dobbiamo ricordarci anche di tutte le volte che ci siamo sentiti adeguati o meno di fronte alla mamma o al papà (chi ha avuto la fortuna di averli entrambi) ed inoltre dobbiamo fare i conti con la capacità che abbiamo avuto nel nostro passato di instaurare relazioni affettive soddisfacenti che ci hanno fatto sentire più o meno adeguati.

Ecco che l’insieme di tutti questi fattori ha contribuito al grado di sicurezza o insicurezza che oggi ci appartiene (che ci piaccia o no).

Di fatto, alla base della paura del giudizio degli altri troviamo un’altra paura, più profonda: quella del rifiuto e della solitudine.

Guidati da questa potente paura può capitare che possiamo essere più o meno autentici per assecondare l’altro ed evitare quindi l’esposizione ad un conflitto altrimenti spaventoso poiché potrebbe portare alla chiusura di quello specifico rapporto e portare quindi alla solitudine.

Ecco che molti di noi (oserei dire tutti con livelli di gravità diversi), indossano delle maschere, un esempio riguarda la costruzione dell’identità digitale che va a tendere all’ideale del falso sé allontanandosi in realtà dall’essenza identitaria di ognuno.

Come posso vincere la paura del giudizio degli altri? Gli esercizi che suggerisco, ben consapevole che non costituiranno una soluzione ma un tampone, riguardano  l’allenamento della propria spontaneità, rendere più flessibili i valori che utilizziamo per sentirci adeguati, differenziare tra una critica manipolatoria e una costruttiva che può farci invece crescere. Qualora il senso di dolore della condizione di esposizione al giudizio fosse ingestibile ecco che un percorso di psicoterapia diventa un’arma molto efficace.