Il razionale teorico sotteso al mio agire clinico psicoterapeutico è di stampo cognitivo costruttivista.
Cosa significa?
Nel primo Cognitivismo (siamo intorno alla fine degli anni ’50 del secolo scorso), con una spiccata derivazione dalla prima e della seconda Cibernetica (analogia computer – cervello) , si gettano le prime basi per una Psicologia con dei fondamenti empirici e che potesse utilizzare un metodo scientifico e in quanto tale ripetibile e standardizzabile per tutti gli esseri umani.
Questo stimola sempre più l’incontro con quelle discipline proprie delle scienze naturali (che studiano gli aspetti fisici, chimici e biologici del mondo e della vita) e la scienza psicologica (disciplina che studia la mente ed il comportamento).
Dall’incontro con le scienze naturali, il cognitivismo eredita il rigore scientifico (un metodo che passa dalla ricerca e dalla verificabilità empirica) e l’interdisciplinarietà (la possibilità di dialogo tra diverse discipline scientifiche).
Eppure il tentativo storicamente compiuto dal cognitivismo, e non solo, di spiegare il fenomeno psicopatologico, attraverso l’applicazione del metodo galileiano allo studio dell’uomo, ha avuto, appunto, a che fare con la spiegazione. E’ importante sottolineare questo termine perché la spiegazione della vita psichica dell’essere umano non implica necessariamente la sua comprensione: le terapie del come e le terapie del perché.
Ecco come il bisogno sempre crescente di comprensione della vita psichica dell’essere umano porta all’incontro tra il cognitivismo, come lo abbiamo inteso fino ad ora, e quella branca della Filosofia che è l’ermeneutica fenomenologica. L’ermeneutica, applicata alla psicoterapia, “ruba” quei presupposti teorici sottesi all’antica arte dell’interpretazione dei testi e la fenomenologia (Husserl) applica alle scienze della mente e del comportamento l’evidenza del fenomeno psicopatologico che “si dà” manifestandosi nel suo accadere.
Un ruolo di fondamentale importanza negli ultimi vent’anni ha riguardato l’avvento delle Neuroscienze che hanno contribuito in modo significativo a fornire basi scientifiche più forti alla Psicologia e alla Psicoterapia.
Queste discipline si sono occupate dello studio anatomico e funzionale del cervello e dell’attività nervosa e, integrate all’attività psicoterapeutica, hanno fornito al professionista un insieme di correlati neurali sottesi ad un particolare modo di soffrire sia esso storico (legato all’esperienza attiva del soggetto come ad esempio una rottura affettiva) o non storico (sganciato dalla storia di vita della persona come ad esempio un grave incidente in macchina).
Alla luce di questo quadro teorico di riferimento ecco che si manifestano due modi di approcciarsi alla sofferenza emotivo psicologica umana.
Il primo è un approccio nosografico descrittivo all’essere umano (il fatto che un particolare modo di soffrire condivida un insieme di caratteristiche con un gruppo di persone etichettabili nel medesimo disturbo. Per esempio questi “n sintomi e segni” ci permettono di dire che “Giovanni” è depresso perché condivide quelle stesse caratteristiche di altre persone depresse).
Ma questo approccio, seppur importante perché lo specialista abbia una direzione clinica e diagnostica orientativa, non ci spiega realmente chi sia quel “Giovanni” che si demarca dalle altre persone che condividono quel tipo di sofferenza.
L’etichetta nosografico descrittiva applicata alla sofferenza emotiva psicologica risulta quindi, se non integrata in un modello più ampio, limitata e limitante poiché inquadra la persona in una categoria diagnostica ma ne perde la caratteristica più autentica e cioè la sua unicità.
Ecco quindi che diventa fondamentale integrare, alla luce di una visione ontologica dell’essere umano come un “Chi” e non come una “Cosa”, in quello che oggi si definisce, più in generale, un modello bio psico sociale di approccio alla persona (interazione tra diversi fattori genetici, psicologici e sociali) con una visione interpretativo esplicativa dei modi psicopatologici di quell’essere umano specifico, unico e irripetibile.
A tal proposito possiamo rifarci, citando la teoria fenomenologica di Husserl, alla differenza che egli compie tra Körper (corpo fisico) e Leib (il mio sentirmi ogni volta me stesso, la mia identità non misurabile).
Vediamo come la tradizione fenomenologica offra in maniera molto sintetica ciò che sopra stavo descrivendo.
In conclusione la psicoterapia a orientamento cognitivo costruttivista che utilizza un approccio ai modi di soffrire dell’essere umano di tipo ermeneutico fenomenologico diviene una pratica clinica che può, con basi scientifiche valide, creare ogni volta l’intervento terapeutico più idoneo ed efficace tagliato su misura per ogni singolo essere umano.
Non dimentichiamo che la ricerca è dalla nostra parte nel sottolineare l’importanza della creazione di una solida alleanza terapeutica tra professionista e paziente. Tanto maggiore sarà la fiducia e la solidità di tale relazione terapeutica tanto più efficace sarà il percorso di psicoterapia.